Il match tra le concorrenti sostitutive del carbon-fossile che si gioca nel campo della transazione energetica, offre numerosi spunti di riflessione agli addetti ai lavori.
In molti si chiedono se e in quali termini lo sviluppo di tecnologie di produzione aventi ad oggetto il nucleare possa apportare un reale beneficio al Pianeta.
I sostenitori dell’energia nucleare affermano che il suo sfruttamene è indispensabile per ridurre le emissioni di CO2 di almeno il 55% entro il 2030 (in linea con gli obbiettivi previsti dall’Accordo di Parigi sul clima) e per contenere l’innalzamento delle temperature del Pianeta.
Tra i fanatici del nucleare spicca l’illustre presenza del milionario Bill Gates, impegnato nelle prossime settimane a convincere il Congresso Americano a finanziare con miliardi di dollari la società “TerraPower”, da lui fondata per progettare e costruire reattori nucleari di nuova generazione “più efficienti, ecologici e sicuri”.
Le energie rinnovabili, dunque, da sole non sarebbero sufficienti a decarbonizzare il sistema; la soluzione a senso unico parrebbe quella di includere l’energia nucleare tra le fonti “pulite”.
Obiettivamente, le centrali nucleari di ultima generazione immettono nella atmosfera un quantitativo massimo di 110 grammi di CO2 equivalente per chilowattora (kWh).
Ci troviamo quindi davanti ad uno dei valori più bassi contro i 910 grammi del carbone, 650 grammi del gas, 420 grammi delle biomasse e i 180 dell’energia solare su larga scala.
Puntiamo i riflettori ora sui meccanismi di produzione energetica fondati esclusivamente su fonti rinnovabili: il geotermico emette 79 grammi di CO2 equivalente per un kWh, il solare a concentrazione 63 grammi, i pannelli fotovoltaici sui tetti 60 grammi, l’eolico onshore 56 grammi e 35 per quello offshore.
Appare evidente come le emissioni di ciascuna di queste fonti siano di gran lunga inferiori ai valori emessi, seppur bassi, dalle centrali nucleari.
Volendo smontare anche la persistente critica mossa contro le rinnovabili definite fonti intermittenti, in quanto “il sole non splende di notte e il vento non è costante”, va chiarito che le cose stanno cambiando.
La soluzione proviene dall’ammodernamento dei sistemi di stoccaggio, divenuti oggi più economici ed efficienti, rispetto al passato. I sistemi di accumulo stanno, inoltre, facendo registrare una crescita del mercato che si stima arrivi al 2030 fino al 30%.
Andando, invece, a scoperchiare il vaso di pandora della teoria dell’egemonia del nucleare, la nota più dolente da affrontare per i suoi supporters è lo smaltimento delle scorie radioattive: in termini di rischio inquinante, a confronto, le emissioni di gas serra rappresentano un problema di poco conto.
L’individuazione di aree idonee a custodire il deposito nazionale delle scorie radioattive, in Italia, è materia attualissima e di notevole scontro, tanto che i territori selezionati si sono fortemente ribellati, proprio per i rischi idraulici, geografici e morfologici che comporta ospitare questo tipo di rifiuti.
I tempi di neutralizzazione di queste scorie sono biblici, si parla in scala dalle centinaia alle migliaia di anni prima che perdano la loro carica radioattiva: si pensi ad elementi come il plutonio, per il quale si calcolano più di 24 mila anni
Lo smaltimento comporta rischi fisici ma anche economici: smantellare le centrali e smaltire le scorie determina un sacrificio notevole di capitali.
Ulteriore campanello di allarme è rappresentato dalla sicurezza: è sempre vivo in tutti il ricordo dell’esplosione della centrale nucleare di Chernobyl avvenuta il 26 aprile 1986, per non parlare poi del disastro di Fukushima dell’11 marzo 2011.
Il nucleare è un settore che non permette leggerezze e soprattutto non accetta imprevisti.
Ciò significa che per rendere sicuro questo sistema di produzione energetica, l’uomo dovrebbe imparare a prevedere e gestire le catastrofi, soprattutto quelle naturali.
Si pensi all’innalzamento delle temperature dovuto al riscaldamento globale, che determinerà eventi meteorologici estremi in grado di far inginocchiare qualsivoglia tecnologia.
Ma è proprio vero che il nucleare è conveniente?
Prendiamo come forbice temporale il decennio che va dal 2009 al 2019: mentre il costo del fotovoltaico al megawattora è diminuito dell’89 %, passando da circa 300 euro a 30, un megawattora prodotto mediante sfruttamento dell’energia nucleare è aumentato del 26% circa, passando da 105 a 130 euro.
Fate voi il confronto: un megawattora prodotto con energia solare costa quattro volte meno rispetto allo stesso megawattora prodotto con il nucleare.